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Se lo chiede Wired e ce lo chiediamo anche noi certo che i google glasses …

La stampa 3D è la prossima rivoluzione industriale?
Le stampanti a tre dimensioni sono spesso viste come lo strumento del futuro dell’industria. Ma che portata avrà il fenomeno? Saremo tutti maker? Se n’è parlato a Berlino, a re:publica

Berlino – Hobby per smanettoni o prossimo fenomeno di massa? La stampa 3D è fortemente dibattuta in questi tempi e da molte parti – dall’ex direttore del Wired americano Chirs Anderson in primis – è acclamata come la prossima frontiera della produzione, la scintilla della terza rivoluzione industriale. Ma è davvero così? La portata del fenomeno è tale da giustificare l’entusiasmo?

Se ne è parlato a re:publica, qui a Berlino, durante un panel dove sono intervenuti Peter Troxler, docente della Rotterdam University of Applied Sciences, Marlene Vogel, responsabile di Trinckle (un marketplace online per maker) e il giornalista Philip Steffan. Per Troxler la stampa 3D è solo parte di un fenomeno decisamente più ampio che ha a che vedere con un generale cambiamento di prospettiva dell’intero processo produttivo, a livello globale. Citando l’economista Jeremy Rifkin, Troxler ha parlato di un complessivo mutamento di prospettiva nella produzione industriale e nell’organizzazione della società che da “top-down si è aperta a un modello laterale, collaborativo e distribuito”. Secondo Troxler la stampante 3D ha assunto il ruolo di icona di questo passaggio, ma non rappresenta assolutamente l’unico esempio di questo mutamento; una rivoluzione si riconosce quando gli elementi interessati vengono toccati in diversi settori: “Non sappiamo quali saranno le altre caratterizzazioni tangibili di questo passaggio. Nella prima rivoluzione industriale avevamo le città fumose e scure, nella seconda la riscoperta della suburbia. Quale sarà l’ambiente di riferimento di questo nuovo contesto? O il mezzo di trasporto più rappresentativo? O la classe sociale di riferimento?”.

Secondo Marlene Vogel, uno dei cambiamenti più radicali apportato dalla stampa 3D è il rapporto tra produttore e cliente: “La nostra piattaforma mira a mettere in contatto produttori e clienti. Chi compra può interagire con il produttore sul singolo prodotto, raggiungendo un livello di personalizzazione mai avuto prima, in qualsiasi ambito”. Ma se da un lato questa opportunità apre la strada alla nuova figura del prosumer/maker che fabbrica da solo i suoi prodotti senza il bisogno di intermediari, dall’altro dà spazio a un altro quesito: chi è il maker? Il cliente, oppure il produttore? Secondo Troxler proprio questo nuovo ruolo del consumatore può essere una barriera allo sviluppo ampio della stampa 3D: “Il 3D printing è qui da molto più tempo di quanto ci si potrebbe aspettare e ha origine nella produzione farmaceutica, dove ogni singolo pezzo – si pensi alle protesi, ad esempio – deve essere prodotto secondo le specifiche esigenze di un solo paziente. In questo sistema è impossibile avere economie di scala. Allo stato delle cose, la stampa 3D funziona per produrre decine di oggetti, spesso uno diverso dall’altro, di certo non migliaia o decine di migliaia”.

Che le stampanti 3D attualmente in commercio siano solo l’inizio di un movimento destinato a diventare più grande è un assunto condiviso anche da Marlene Vogele: “Esiste un gap ancora molto grande tra quello che può essere realizzato con le stampanti in commercio e le macchine professionali”, ha detto la maker tedesca.  “Poter realizzare solo piccoli oggetti, accessori o giocattoli è molto limitante. Gli spazi di sviluppo sono molto più ampi. Il gap si riduce poco alla volta, insieme ai costi, ma fin qui l’intero processo è molto limitato”. Troxler ha poi aggiunto un esempio molto efficace, paragonando la stampa 3D all’approdo delle videocamere sui cellulari: “All’inizio, i cellulari potevano girare solo video a bassa qualità, mossi e sfuocati. La stampa 3D, al momento, è in quello stadio. C’è voluto del tempo per avere filmati in qualità alta. Penso che tra 20 anni potremmo finalmente avere stampe a tre dimensioni in HD”. 20 anni. Ma quello che a una prima occhiata potrebbe sembrare un limite, potrebbe anche essere un ulteriore incentivo, secondo Troxler: “Bisogna però notare che quei video sgranati sono presto diventati un elemento scaturente di un nuova estetica. Potrebbe avvenire lo stesso anche con la stampa 3D”. E sarebbe un grande incentivo alla sua diffusione.

Philip Steffan ha poi pressato la discussione su un aspetto fondamentale, le persone che dovrebbero portare avanti questa nuova rivoluzione industriale: “Diventeremo tutti maker solamente perché abbiamo gli strumenti?” Per Marlene Vogel la questione va posta su diverse direttrici: “Il problema non sono le idee, ma realizzarle. Manca la consapevolezza di cosa è possibile fare con queste stampanti. Il nostro marketplace consente di riempire questo vuoto, dando a tutti la possibiltà di proporre idee e a chi ha i mezzi e le competenze, di dar loro forma”. Il punto, anche per la maker tedesca, rimane uno: “Fino a questo momento, le stampanti 3D sono un gadget per curiosi digitali o per chi è già dentro la cosa”. Toxler, però, vede il fenomeno in prospettiva: “La tecnologia sta trovando applicazione pratica. I bambini sono esposti a questa tecnologia e probabilmente diventerà qualcosa di normale, come girare un video”. Ma anche qui, la rivoluzione potrebbe essere su scala minore: “La maggior parte delle persone rimarrà ovviamente consumatrice di prodotti non, nei fatti, maker”. Fino a qui, come prodotto della seconda rivoluzione industriale, c’è un solo ambito dove il do it yourself ha effettivamente trionfato: i trasporti.  “Facciamo DIY quando prendiamo la macchina o la bici e ci muoviamo da soli. L’industria tecnologica ci convincerà che dovremo fare così anche in altri ambiti?”.

Ma dove si avrà, allora, la rivoluzione? Cambierà radicalmente le nostre vite? Secondo Marlene Vogele sarà nel processo: “Per molte cose potremmo non dover più andare nei negozi, potremmo farci da soli un componente che manca a qualcosa che ci serve. Le cose come le abbiamo sempre conosciute non spariranno, ovviamente, ma il processo potrebbe cambiare”. Toxler, invece, ha ribadito ancora come la rivoluzione sia sistemica, mentre la stampa 3D solo un fenomeno emerso da questo cambiamento e altre seguiranno.

La prospettiva della stampa 3D, al momento, è inoltre strettamente incentrata sulla sua applicazione nel mondo sviluppato. Le cose più interesssanti, ha chiosato Toxler, potrebbero emergere dai Paesi in via di sviluppo, una volta che le stampanti 3D arriveranno anche in quelle parti del globo. Nel frattempo, qui a re:publica, proprio la stampa 3D ha trovato una delle più simpatiche applicazioni pratiche fin qui viste: Hannes Schleeh, un blogger tedesco, si è fatto stampare in 3D dei finti Google Glass per 25 euro, seminando il panico tra gli smanettoni riunitisi a Berlino. Per la rivoluzione c’è tempo.

di Philip Di Salvo da wired.it

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