luigi-cerfeda-caschettoPiccole grandi idee crescono

Così faccio impresa con una tesi di laurea

Luigi Cerfeda, 25 anni e neolaureato in ingegneria biomedica all’Università di Pisa, ha ideato Besos, un caschetto che rileva i segnali dell’elettroencefalogramma e si trasforma in gioco per i piccoli pazienti, puntando su Arduino e stampa 3D. E ora vuole fare business.

Chiamatela fortuna, chiamatela lungimiranza. Fatto sta che se per la maggior parte dei giovani la tesi di laurea rappresenta più o meno una formalità con cui concludere il percorso accademico, per pochi è invece un trampolino di lancio verso il futuro. Appartiene a questa minoranza Luigi Cerfeda, 25 anni, che per la sua tesi in ingegneria biomedica all’Università di Pisa ha realizzato Besos Cap, un caschetto che, oltre a rilevare i segnali dell’elettroencefalogramma (EEG), può essere smontato e rimontato in carrarmati con cui far giocare i piccoli pazienti. Un’idea che è piaciuta non solo alla commissione di professori presenti alla seduta di laurea, ma anche agli esperti presenti al Maker Faire, l’evento organizzato a Roma per incontrare i giovani universitari aspiranti startupper. Al punto che il neolaureato di origini salentine ha pensato bene di trasformare l’idea in impresa.

Un bel coraggio, visto che il momento non è proprio il migliore per fare impresa in Italia. “Non so se si può fare impresa nel nostro Paese. Io ci provo” dice ridendo il 25enne, che spiega orgoglioso perché la sua idea è stata considerata innovativa: “Innanzitutto il prodotto è realizzato con stampa 3D, processo che implica vantaggi di costi e di tempi. Inoltre, il caschetto è personalizzabile, si adatta alle misure del cranio e ciò consente un rilevazione migliore degli elettrodi del cervello. Infine c’è l’aspetto ludico che è un modo per avvicinare i bambini agli strumenti medici in modo amichevole” spiega l’aspirante imprenditore.

L’idea è nata quasi per caso, dopo essere entrato in contatto con il mondo Arduino e con la stampa 3D, l’officina di creatività e innovazione nata sulla scia della rivoluzione dei maker italiani : “Avevo capito che queste realtà hanno grandi potenzialità: Arduino è usato poco in Italia ma all’estero è tenuto in grande considerazione, e la stampa 3D è in continua crescita: secondo le stime degli esperti, entro 5 anni le stampanti 3D entreranno in tutte le case. Così ho pensato di mettere insieme le due cose.  La mia tesi riguarda la progettazione di uno ‘shield’, ossia una scheda elettronica da montare su Arduino e in grado di rilevare segnali EEG, per applicazioni di BCI (Brain-Computer Interface). Durante lo studio sui sistemi EEG in commercio, ho potuto notare come un dispositivo del genere potesse avere un mercato, rappresentato sia dai ricercatori nel campo delle BCI che dai Makers, attori principali del mondo dell’Open Source Hardware. Ho iniziato, così, a vedere il mio progetto di tesi non solo come un esercizio teorico astratto e fine a se stesso, ma come possibilità di business”.

Una bella idea, dunque. Che, però, da sola non basta. “Se vuoi fare impresa in Italia l’idea conta per l’1%. Poi servono coraggio, determinazione, capacità di mettersi in gioco. Ma anche un buon team: per andare avanti e ottenere il successo è necessario circondarsi di persone competenti in vari settori, dal marketing alla pubblicità, alle strategie di mercato. Infine, non guasta una buona agenda di contatti e conoscenze nel mondo delle startup” continua Cerfeda. Che ha qualche parolina da rivolgere anche alla dea bendata: “la  fortuna ha voluto che l’unico competitor operante nello stesso settore sia solo un’azienda americana, così ho avuto via libera sul mercato italiano”.

Ora gli step da percorrere sono due: creare un sito che non sia solo una vetrina ma una vera e propria opportunità di crescita per makers e ricercatori, e lanciare una campagna di crowdfunding. Con la speranza di rimanere in Italia: “Il cuore di Arduino è italiano, molte delle stampanti 3D sono fatte in Italia…Non è un caso che il logo di Besos riprenda il tricolore… Io spero di rimanere in Italia e di fare innovazione nel mio Paese”.

E, se un giorno, l’azienda americana decidesse di comprare Besos? Luigi Cerfeda ci pensa su un attimo: “Accetterei a due condizioni: che logo e team rimangano gli stessi e che mi dessero tanti soldi quanti ne ha sborsati Facebook per comprare WhatsApp. Almeno non avrei più problemi di finanziamento”.

di Concetta Desando da economyup.it

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