maker faire romeStampanti 3D e open source il nuovo volto dell’hardware
Si apre questa settimana a Roma la prima fiera in Italia sul nuovo settore: un folto gruppo di aziende innovative basate stavolta non sul software ma sui nuovi criteri manifatturieri e sulle imprevedibili prospettive che si aprono

Roma. Se ha ragione Chris Anderson, presto ne leggeremo sui libri di storia. «La nuova rivoluzione industriale», così l’ha definita l’ex direttore di Wired e guru dell’economia digitale. Quella dei maker, artigiani di nuova generazione: «Un movimento di persone che hanno recuperato la voglia di costruire cose», sintetizza Massimo Banzi, che ha fornito loro il primo di due strumenti magici: Arduino, un dispositivo elettronico capace grazie a dei sensori di interagire con l’ambiente, e open source, cioè modificabile in libertà.

Il secondo sono le stampanti 3D da tavolo, che versando uno sopra l’altro strati di plastica fusa, permettono di realizzare oggetti tridimensionali. Il sogno di Marx versione 2.0: mezzi di produzione alla portata di tutti e una fabbrica in ogni garage. Ed è proprio Banzi, insieme al giornalista Riccardo Luna, che ha portato in Italia, a Roma, la Maker Faire. Si terrà dal 3 al 6 ottobre (aperta al pubblico il 5 e il 6) al Palazzo dei Congressi e sarà il primo ritrovo del movimento sul suolo europeo. «Ci aspettiamo circa 20mila visitatori », prevede Banzi.

Non la folla oceanica che la scorsa settimana ha invaso New York per l’evento americano. Ma altrettanto variegata, visti gli oltre 200 progetti esposti, molti provenienti dal-l’estero: dal carrello robot che ci segue durante la spesa ai giochi interattivi per bambini, dall’automazione domestica agli oggetti connessi in Rete. «Non si tratta per forza di tecnici – continua – molti sono appassionati che imparano e condividono online e alla fine portano il loro progetto sul mercato ».

Un’indagine di Dale Dougherty, fondatore della rivista Make, conferma che il 57% di questi artigiani sono dilettanti. Perché lo sviluppo delle tecnologie, in particolare delle stampanti 3D, abbassa di continuo la soglia di ingresso. Il costo medio di una macchina si aggira ora attorno ai 900 euro e tra il 2010 e il 2011 le vendite sono cresciute del 289%. Se nel 2011 il mercato statunitense dei makervaleva 50 milioni di dollari, l’anno scorso è salito a 400 milioni e entro il 2015 dovrebbe superare la soglia del miliardo. In Italia le cifre sono più basse.

Ma il numero di Fab Lab, officine che offrono tutti gli strumenti per la fabbricazione digitale, è in continuo aumento. Così come le aziende che producono stampanti tridimensionali. Kentstrapper è a Firenze: «Veniamo da una famiglia di artigiani», racconta Luciano Cantini, 30 anni, ingegnere elettronico che l’ha fondata insieme al fratello Lorenzo. Come molti ragazzi hanno cominciato dai Lego, solo che loro («per la gioia di mamma») sono passati a frese e macchine laser.

«Quando è stato lanciato il progetto RepRap, la stampante 3D capace di autoreplicarsi, abbiamo messo a punto un nostro modello». E un’impresa: ad oggi ne hanno vendute circa 100, prezzo da 660 a 2500 euro a seconda di materiali e grandezza. «Il nostro cliente è sia lo studente che vuole prodursi in casa il modellino per un gioco di ruolo che il designer professionista». Non solo innovazione da cantina.

«Abbiamo importato questi macchinari negli anni ’90», racconta Livia Cevolini, direttrice marketing del Gruppo modenese Crp. All’inizio per realizzare solo prototipi estetici. Poi, grazie al brevetto di un nuovo materiale (il Windform) anche funzionali, usati per testare auto e moto sportive o per l’industria aerospaziale. Oggi valgono oltre la metà del fatturato annuo, di 7 milioni di euro: «La stampa tridimensionale abbassa molto costi e tempi per lo sviluppo di un prototipo. Ma ora le prestazioni sono idonee anche per produrre piccole serie commerciali».

Così nel 2015 Crp lancerà sul mercato Energica, prima motocicletta del tutto elettrica e realizzata con stampanti 3D: «E’ una tecnologia che funziona finché i numeri sono piccoli, per le serie non è più economica, non sostituirà mai la produzione», spiega Cevolini. Non è per forza un limite. In fondo il Made in Italy si è sempre concentrato su nicchie. Dove la personalizzazione dei prodotti che la manifattura digitale consente è un valore. L’azienda trentina Hsl ha deciso di affiancare alla prototipazione anche una produzione di oggetti di design.

«Siamo stati i primi a portare la stampa additiva in Italia nel 1988», racconta il titolare Ignazio Pomini. «Il passaggio all’artigianato è stato naturale: produciamo lampade e complementi d’arredo con il marchio .exnovo e gioielli con il marchio .bijouet». La partenza è stata lenta, ma Pomini si aspetta che entro un paio di anni il giro d’affari raggiunga il milione e mezzo di euro. E con la nuova attività i dipendenti sono già passati da 20 a 35.

di FILIPPO SANTELLI da repubblica.it

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